Testi Letterari
Prosa: Romanzi, Racconti e Novelle

testo - pag.1

Con quale inflessione di voce e quale atteggiamento d'occhi e di mani, curvandosi, come chi regge rassegnatamente su le spalle un peso insopportabile, il magro giudice D'Andrea soleva ripetere: «Ah, figlio caro!» a chiunque gli facesse qualche scherzosa osservazione per il suo strambo modo di vivere!
Non era ancor vecchio; poteva avere appena quarant'anni; ma cose stranissime e quasi inverosimili, mostruosi intrecci di razze, misteriosi travagli di secoli bisognava immaginare per giungere a una qualche approssimativa spiegazione di quel prodotto umano che si chiamava il giudice D'Andrea.
E pareva ch'egli, oltre che della sua povera, umile, comunissima storia familiare, avesse notizia certa di quei mostruosi intrecci di razze, donde al suo smunto sparuto viso di bianco eran potuti venire quei capelli crespi gremiti da negro; e fosse consapevole di quei misteriosi infiniti travagli di secoli, che su la vasta fronte protuberante gli avevano accumulato tutto quel groviglio di rughe e tolto quasi la vista ai piccoli occhi plumbei, e scontorto tutta la magra, misera personcina.
Così sbilenco, con una spalla più alta dell'altra, andava per via di traverso, come i cani. Nessuno però, moralmente, sapeva rigar più diritto di lui. Lo dicevano tutti.
Vedere, non aveva potuto vedere molte cose, il giudice D'Andrea; ma certo moltissime ne aveva pensate, e quando il pensare è più triste, cioè di notte.
Il giudice D'Andrea non poteva dormire. II pensare così di notte non conferisce molto alla salute. L'arcana solennità che acquistano i pensieri produce quasi sempre, specie a certuni che hanno in sé una certezza su la quale non possono riposare, la certezza di non poter nulla sapere e nulla credere non sapendo, qualche seria costipazione. Costipazione d'anima, s'intende. E al giudice D'Andrea, quando si faceva giorno, pareva una cosa buffa e atroce nello stesso tempo, ch'egli dovesse recarsi al suo ufficio d'Istruzione ad amministrare – per quel tanto che a lui toccava –la giustizia ai piccoli poveri uomini feroci. Come non dormiva lui, così sul suo tavolino nell'ufficio d'Istruzione non lasciava mai dormire nessun incartamento, anche a costo di ritardare di due o tre ore il desinare e di rinunziar la sera, prima di cena, alla solita passeggiata coi colleghi per il viale attorno alle mura del paese.
Eppure, per la prima volta, da circa una settimana, dormiva un incartamento sul tavolino del giudice D'Andrea. E per quel processo che stava lì da tanti giorni in attesa, egli era in preda a un'irritazione smaniosa, a una tetraggine soffocante.
Si sprofondava tanto in questa tetraggine, che gli occhi aggrottati, a un certo punto, gli si chiudevano. Con la penna in mano, dritto sul busto, il giudice D'Andrea si metteva allora a pisolare, prima raccorciandosi, poi attrappandosi come un baco infratito che non possa più fare il bozzolo. Appena, o per qualche rumore o per un crollo più forte del capo, si ridestava e gli occhi gli andavano lì, a quell'angolo del tavolino dove giaceva l'incartamento, voltava la faccia e, serrando le labbra, tirava con le nari fischianti aria aria aria e la mandava dentro, quanto più dentro poteva, ad allargar le viscere contratte dall'esasperazione, poi la ributtava via spalancando la bocca con un versaccio di nausea, e subito si portava una mano sul naso adunco a regger le lenti che, per il sudore, gli scivolavano. Era veramente iniquo quel processo là: iniquo perché includeva una spietata ingiustizia contro alla quale un pover'uomo tentava disperatamente di ribellarsi senza alcuna probabilità di scampo. C'era in quel processo una vittima che non poteva prendersela con nessuno.
Aveva voluto prendersela con due, lì in quel processo, coi primi due che gli erano capitati sotto mano, e – sissignori – la giustizia doveva dargli torto, torto, torto, senza remissione, ribadendo così, ferocemente, l'iniquità di cui quel pover'uomo era vittima. A passeggio, tentava di parlarne coi colleghi; ma questi, appena egli faceva il nome del Chiàrchiaro, cioè di colui che aveva intentato il processo, si alteravano in viso e si ficcavano subito una mano in tasca a stringervi una chiave, o sotto sotto allungavano l'indice e il mignolo a far le corna, o s'afferravano sul panciotto i gobbetti d'argento, i chiodi, i corni di corallo pendenti dalla catena dell'orologio. Qualcuno, più francamente, prorompeva:
– Per la Madonna Santissima, ti vuoi star zitto?
Ma non poteva starsi zitto il magro giudice D'Andrea. Se n'era fatta proprio una fissazione, di quel processo. Gira gira, ricascava per forza a parlarne. Per avere un qualche lume dai colleghi – diceva – per discutere così in astratto il caso. Perché, in verità, era un caso insolito e speciosissimo quello d'un jettatore che si querelava testi blu per diffamazione contro i primi due che gli erano caduti sotto gli occhi nell'atto di far gli scongiuri di rito al suo passaggio. Diffamazione? Ma che diffamazione, povero disgraziato, se già da qualche anno era diffusissima in tutto il paese la sua fama di jettatore? se innumerevoli testimonii potevano venire in tribunale a giurare che egli in tante e tante occasioni aveva dato segno di conoscere quella sua fama, ribellandosi con proteste violente? Come condannare, in coscienza, quei due giovanotti quali diffamatori per aver fatto al passaggio di lui il gesto che da tempo solevano fare apertamente tutti gli altri, e primi fra tutti – eccoli là – gli stessi giudici? E il D'Andrea si struggeva; si struggeva di più incontrando per via gli avvocati, nelle cui mani si erano messi quei due giovanotti, l'esile e patitissimo avvocato Grigli, dal profilo di vecchio uccello di rapina e il grasso Manin Baracca, il quale, portando in trionfo su la pancia un enorme corno comperato per l'occasione e ridendo con tutta la pallida carnaccia di biondo majale eloquente, prometteva ai concittadini che presto in tribunale sarebbe stata per tutti una magnifica festa. Orbene, proprio per non dare al paese lo spettacolo di quella «magnifica festa» alle spalle d'un povero disgraziato, il giudice D'Andrea prese alla fine la risoluzione di mandare un usciere in casa del Chiàrchiaro per invitarlo a venire all'ufficio d'Istruzione. Anche a costo di pagar lui le spese, voleva indurlo a desistere dalla querela, dimostrandogli quattro e quattr'otto che quei due giovanotti non potevano essere condannati, secondo giustizia, e che dalla loro assoluzione inevitabile sarebbe venuto a lui certamente maggior danno, una più crudele persecuzione.

Ahimè, è proprio vero che è molto più facile fare il male che il bene.

Se n'accorse bene quella volta il giudice D'Andrea, appena alzò gli occhi a guardar il Chiàrchiaro, che gli era entrato nella stanza, mentr'egli era intento a scrivere. Ebbe uno scatto violentissimo e buttò all'aria le carte, balzando in piedi e gridandogli:

– Ma fatemi il piacere! Che storie son queste? Vergognatevi!

Il Chiàrchiaro s'era combinata una faccia da jettatore, ch'era una meraviglia a vedere. S'era lasciata crescere su le cave gote gialle una barbaccia ispida e cespugliata, si era insellato sul naso un paio di grossi occhiali cerchiati d'osso, che gli davano l'aspetto d'un barbagianni, aveva poi indossato un abito lustro, sorcigno, che gli sgonfiava da tutte le parti.

Allo scatto del giudice non si scompose. Dilatò le nari, digrignò i denti gialli e disse sottovoce:
– Lei dunque non ci crede?
– Ma fatemi il piacere! - ripetè il giudice D'Andrea. - Non facciamo scherzi chiaro Chiarcaro! O siete impazzito? Via via sedete sedete qua.

(...)

Il D'Andrea sedette anche lui e disse:

- Volete che vi dica che ci credo? E vi dirò che ci credo! Va bene così?
– Nossignore, – negò recisamente il Chiàrchiaro, col tono di chi non ammette scherzi. – Lei deve crederci sul serio, e deve anche dimostrarlo istruendo il processo!
– Questo sarà un po' difficile, – sorrise mestamente il D'Andrea.
– Ma vediamo di intenderci, caro Chiàrchiaro. Voglio dimostrarvi che la via che avete preso non è propriamente quella che possa condurvi a buon porto.
– Via? Porto? Che porto e che via? – domandò, aggrondato, il Chiàrchiaro.
– Né questa d'adesso, – rispose il D'Andrea, – né quella là del processo.
Già l'una e l'altra, scusate, son tra loro così.
E il giudice D'Andrea infrontò gl'indici delle mani per significar che le due vie gli parevano opposte.
Il Chiàrchiaro si chinò e tra i due indici così infrontati del giudice ne inserì uno suo, tozzo, peloso e non molto pulito.
– Non è vero niente, signor giudice! – disse, agitando quel dito.
– Come no? – esclamò il D'Andrea. – Là accusate come diffamatoridue giovani perché vi credono jettatore, e ora qua voi stesso vi presentate innanzi a me in veste di jettatore e pretendete anzi ch'io creda alla vostra jettatura.
– Sissignore.
– E non vi pare che ci sia contraddizione?
Il Chiàrchiaro scosse più volte il capo con la bocca aperta a un muto ghigno di sdegnosa commiserazione. Mi pare piuttosto, signor giudice, – poi disse, – che lei non capisca niente.

Il D'Andrea lo guardò un pezzo, imbalordito.

– Dite pure, dite pure, caro Chiàrchiaro. Forse è una verità sacrosanta questa che vi è scappata dalla bocca. Ma abbiate la bontà di spiegarmi perché non capisco niente.
– Sissignore. Eccomi qua, – disse il Chiàrchiaro, accostando la seggiola.
– Non solo le farò vedere che lei non capisce niente; ma anche che lei è un mio mortale nemico. Lei, lei, sissignore. Lei che crede difare il mio bene. Il mio più acerrimo nemico! Sa o non sa che i due imputati hanno chiesto il patrocinio dell'avvocato Manin Baracca?
– Sì. Questo lo so.
– Ebbene, all'avvocato Manin Baracca io, Rosario Chiàrchiaro, io stesso sono andato a fornire le prove del fatto: cioè, che non solo mi ero accorto da più d'un anno che tutti, vedendomi passare, facevano le corna, ma le prove anche, prove documentate e testimonianze irrepetibili dei fatti spaventosi su cui è edificata incrollabilmente, incrollabilmente, capisce, signor giudice? la mia fama di jettatore!
– Voi? Dal Baracca?
– Sissignore, io.
Il giudice lo guardò, più imbalordito che mai:
– Capisco anche meno di prima. Ma come? Per render più sicura l'assoluzione di quei giovanotti? E perché allora vi siete querelato?
Il Chiàrchiaro ebbe un prorompimento di stizza per la durezza di mente del giudice D'Andrea; si levò in piedi, gridando con le braccia per aria:
– Ma perché io voglio, signor giudice, un riconoscimento ufficiale della mia potenza, non capisce ancora? Voglio che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza spaventosa, che è ormai l'unico mio capitale!
E ansimando, protese il braccio, batté forte sul pavimento la canna d'India e rimase un pezzo impostato in quell'atteggiamento grottescamente imperioso.
Il giudice D'Andrea si curvò, si prese la testa tra le mani, commosso, e ripeté: – Povero caro Chiàrchiaro mio, povero caro Chiàrchiaro mio, bel capitale! E che te ne fai? che te ne fai?
– Che me ne faccio? – rimbeccò pronto il Chiàrchiaro. – Lei, padrone mio, per esercitare codesta professione di giudice, anche così male come la esercita, mi dica un po', non ha dovuto prender la laurea?
– La laurea, sì.
– Ebbene, voglio anch'io la mia patente, signor giudice! La patente di jettatore. Col bollo. Con tanto di bollo legale! Jettatore patentato dal regio tribunale.
– E poi?
– E poi? Me lo metto come titolo nei biglietti da visita. Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno fatto cacciar via dal banco dov'ero scritturale, con la scusa che, essendoci io, nessuno più veniva a far debiti e pegni; mi hanno buttato in mezzo a una strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili, di cui nessuno vorrà più sapere, perché sono figlie mie; viviamo del soccorso che ci manda da Napoli un mio figliuolo, il quale ha famiglia anche lui, quattro bambini, e non può fare a lungo questo sacrifizio per noi. Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione del jettatore! Mi sono parato così, con questi occhiali, con quest'abito; mi sono lasciato crescere la barba; e ora aspetto la patente per entrare in campo! Lei mi domanda come? Me lo domanda perché, le ripeto, lei è un mio nemico!
– Io?
– Sissignore. Perché mostra di non credere alla mia potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, tutti ci credono! E ci son tante case da giuoco in questo paese! Basterà che io mi presenti; non ci sarà bisogno di dir nulla. Mi pagheranno per farmi andar via! Mi metterò a ronzare attorno a tutte le fabbriche; mi pianterò innanzi a tutte le botteghe; e tutti, tutti mi pagheranno la tassa, lei dice dell'ignoranza? Io dico la tassa della salute! Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d'avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta una intera città!
Il giudice D'Andrea, ancora con la testa tra le mani, aspettò un pezzo che l'angoscia che gli serrava la gola desse adito alla voce. Ma la voce non volle venir fuori; e allora egli, socchiudendo dietro le lenti i piccoli occhi plumbei, stese le mani e abbracciò il Chiàrchiaro a lungo, forte forte, a lungo. Questi lo lasciò fare.
– Mi vuol bene davvero? – gli domandò. – E allora istruisca subito il processo, e in modo da farmi avere al più presto quello che desidero.
– La patente?
Il Chiàrchiaro protese di nuovo il braccio, batté la canna d'India sul pavimento e, portandosi l'altra mano al petto, ripeté con tragica solennità:
– La patente.

Da Novelle per un anno di Luigi Pirandello, La Patente, Mondadori, 2011.

 Da Questa è la vita  di Luigi Zampa, 1953.

(prof. Pisani)


lessico - pag.1

gremiti: fitti, folti

protuberante: sporgente

plumbei: color del piombo, grigi

scontorto: contorto

non conferisce: non giova, non fa bene

arcana: misteriosa

 costipazione: malessere

 ufficio d'Istruzione: è l'ufficio in cui viene istruito un processo

  il desinare: il pranzo

  tetraggine: umor nero, cattivo umore

 attrappandosi: rattrappendosi

come un baco infratito: come un baco da seta che non viene trasferito nel bosco in tempo per fare il bozzolo sull'albero quindi improduttivo

nari: narici

speciosissimo: molto particolare

  si querelava per diffamazione: denunciava accusandoli di aver gettato discredito su di lui

 di rito: consueti, soliti. di rapina: rapace

 jettatore: persona a cui si attribuisce il potere, anche con la sola presenza e contro la sua stessa volontà, di esercitare la iettatura, cioè di portare sfortuna, di far succedere guai

 cespugliata: a cespugli, cioè incolta

 si era insellato: si era messo sulla sella, a cavallo del naso

 barbagianni: uccello notturno, simbolo di doppiezza (come il suo nome Chiarchiaro cioè Chiaro è umoristicamente il contrario di ciò che appare e dice)

sorcigno: da "sorcio", color grigio topo

 aggrondato: cupo, corrucciato

infrontò: mise uno di fronte all'altro

 un pezzo: a lungo

imbalordito: sbalordito

patrocinio: difesa al processo

prorompimento: moto

canna d'India: il suo bastone

 banco: si tratta di un banco di pegni, frequentato da persone che già si trovano in difficoltà

 scritturale: impiegato

 mi sono parato: mi sono vestito in maniera che dà molto nell'occhio

 desse adito: permettesse il passaggio 

(prof. Pisani)


guida - pag.1

 L'attività si pone i seguenti obiettivi:

  • Saper riconoscere la struttura di una novella e gli elementi che la caratterizzano
  • Saper esercitarsi sulla struttura della frase narrativa
  • Saper confrontare un testo letterario con un testo teatrale
  • Saper leggere a voce alta caratterizzando i personaggi
  1. Si invitano gli studenti a vedere lo spezzone "La Patente" del film a sketch dal titolo "Questa è la vita", del 1953, per la regia di Luigi Zampa e l'interpretazione di Totò, tratto dall' omonima novella di Pirandello.
  2. Si passa poi alla lettura della novella pubblicata per la prima volta sul "Corriere della sera" nel 1911, e inserita nella raccolta "Novelle per un anno" nel 1922.
  3. Si stimolano gli studenti alla comprensione del testo con domande prima sull'autore (la biografia, la corrente di appartenenza, l'ideologia e i temi ricorrenti nelle sue opere), poi sull' opera con domande del tipo:- Qual è il tema della novella?- (attività di elicitazione)
  4. Per guidare gli studenti alla comprensione globale del testo si propone loro un raffronto sui due personaggi che campeggiano sulla scena impiegando lo schema sulla caratterizzazione dei personaggi con domande del tipo :- Quali sono gli elementi più significativi che contraddistinguono i due personaggi principali? Ti sembra che si possa ricavarne un ritratto a tutto tondo nel senso che entrambi i personaggi vengono descritti con minuzia di particolari sia fisici che morali? Riesci a scorgere i tratti che accomunano i due personaggi? Da cosa si sentono uniti? E come viene sancita questa vicinanza?
  5. Si conclude l'attività con le espansioni, ovvero ulteriori spunti di lavoro da proporre in classe
  • Individua tutte le parole chiave non solo ispirate dalla lettura del testo ma anche legate alle tematiche pirandelliane e associale ad altre, in base ai loro rapporti di significato
    Es.: maschera, paradosso, umorismo..../patente,....,.......
  • Nei testi pirandellini è frequente assistere a momenti di teatralizzazione molto efficaci, attraverso l'impiego di dialoghi accesi e minuziose descrizioni di ambienti e personaggi, che nell'esprimersi impiegano diversi codici linguistici. Dopo esserti esercitato nella lettura "drammatizzata" prova a ritrascrivere le battute dei personaggi ribaltando le situazioni o modificando la conclusione della vicenda.

(prof. Pisani)


teoria - pag.1

CARATTERISTICHE 
SCOPO

Narrare è un' attività comunicativa, prevalentemente verbale. Tutti noi siamo narratori nel momento in cui trasmettiamo ad altri delle storie e ognuno di noi sente l'esigenza di raccontarsi.

  • Un racconto o novella è una narrazione di media durata in prosa
  • I racconti tendono ad essere più concisi e ad andare direttamente al punto rispetto ad opere più lunghe, come le novelle (nel senso moderno del termine, usato cioè nella storia del genere) e i romanzi
  • Il termine novella si riferisce al carattere di novità e di curiosità dei fatti narrati. Per via della loro brevità, la fortuna delle novelle risiede nella tecnica narrativa che si concentra intorno ad un nucleo tematico,
    nell'utilizzo di un numero limitato di personaggi, e nel mantenimento di un registro stilistico costante.
  • Intenti prettamente educativi come negli exempla delle origini, (cioè i racconti esemplari, con fini morali che i predicatori degli ordini monastici inserivano nei loro sermoni per renderli più convincenti) e la prima
    raccolta di novelle il Novellino risalente al 1200.

  • Finalità dilettevoli: si racconta per puro divertimento non più per un fine morale e didascalico dal Boccaccio in poi.

(prof. Pisani)


teoria - pag.2

I personaggi possono essere analizzati per livelli di caratterizzazione:

FISIOGNOMICA

 
  • NOME (spesso specchio del personaggio)
  • SESSO (m.f.)
  • ETA' (fanciullo, giovane, adulto, vecchio)
  • TRATTI SOMATICI (il volto, lo sguardo, i tic, la corporatura)
  • ABBIGLIAMENTO (specchio dello status sociale o del ruolo professionale)
  • COMPLETAMENTO OGGETTUALE (la pipa, il sigaro, gli occhiali…)
  • ASPETTO (imponente, trasandato, scialbo, elegante…)

ANTROPOLOGICA

 
  • GESTI ED ESPRESSIONI DEL VOLTO (che accompagnano il linguaggio verbale
  • MODI DI CAMMINARE (strascicante, dinoccolato, trasandato, in fretta…)
  • ABITUDINI (il bere, il mangiare, il fare passeggiate ad ore determinate…)
  • STILE DI COMPORTAMENTO (aggressivo o remissivo, autoritario, disinvolto, maldestro. L'atteggiamento di superiorità può manifestarsi dalla postura (corpo eretto, capo in alto)dall'espressione del volto (assenza di sorriso, aspetto arrogante di sufficienza), dal tono della voce dallo sguardo (dall'alto verso il basso)
  • MOVENZE RITUALI (i cenni di saluto, i gesti di cortesia…)

 PSICOLOGICA

 
  • TRATTI DEL CARATTERE (introverso-estroverso, impulsivo riflessivo, vile-coraggioso, egoista coraggioso, realista- idealista…)
  • REALTA' INTERIORE (stati d'animo, sentimenti, desideri, ambizioni, passioni…)

 CULTURALE

 
  • STUDI COMPIUTI
  • GRADO DI CONOSCENZE
  • AMBIENTE DI FREQUENTAZIONE
  • COMPORTAMENTO LINGUISTICO (uso di gerghi o linguaggio settoriale che rinvia ad una determinata professione)

SOCIALE

 
  • CLASSE SOCIALE DI APPARTENENZA (aristocrazia, borghesia, proletariato…)
  • ATTIVITA' PROFESSIONALE (funzionario, impiegato, commerciante, contadino, operaio…)
  • RUOLO (esercitato nell'ambito del gruppo: direttore, consigliere, capo)
  • CONDIZIONI ECONOMICHE (ricco, benestante, povero…)
  • "STATUS" FAMILIARE (nonno, padre- madre, figlio…)

 IDEOLOGICA

 
  • CREDO RELIGIOSO (laico, cattolico, liberale…)
  • CREDO FILOSOFICO (attitudini mentali che si incontrano o si scontrano con le ideologie dominanti)
  • POSIZIONE POLITICA (conservatrici o rivoluzionarie rispetto alla visione del mondo del gruppo a cui appartiene)

SIMBOLICA

 
  • UN VALORE
  • UN DISVALORE
  • UN SENTIMENTO
  • TIPO D'UOMO
  • ISTITUZIONE

(prof. Pisani)


teoria - pag.3

Protagonista
eroe, mette in moto l'azione o può esserne vittima
Antagonista
anti-eroe, si oppone al protagonista (non necessariamente un personaggio, può essere un gruppo, un sistema sociale, una forza della natura)
Aiutanti
si schiera con l'uno o con l'altro dei contendenti
Oggetto desiderio
conteso tra protagonista e antagonista; può essere un valore, un ideale o un oggetto materiale o la realizzazione di un rapporto d'amore, una nuova vita felice
Destinatario
 ottiene l'oggetto desiderato, può essere il protagonista, l'antagonista o altri
Mandante
arbitro tra i condendenti, stabilisce a chi andrà l'oggetto del desiderio
Oppositore
alleato dell'antagonista, frappone ostacoli alla realizzazione dei desideri del protagonista

(prof. Pisani)


teoria - pag.4

Principali
Secondari
Comparse
motore dell'azione

non fondamentali, ma funzionali alla

completezza della vicenda

riempiono il quadro come gli attori di scena,

ininfluenti rispetto alla vicenda

(prof. Pisani)


esercizi - pag.1

Esercizio n. 1

Leggi la seguente sceneggiatura della commedia in un atto unico dell'omonima novella di Pirandello e analizza i seguenti elementi:

  • differenze e analogie tra i due testi
  • epilogo della vicenda
  • registro linguistico
  • caratterizzazione dei personaggi principali (il giudice d'Andrea/ Chiarchiaro)

La prima rappresentazione (nella versione in dialetto siciliano curata dallo stesso autore e intitolata "'A patenti") avvenne il 19 febbraio 1919.

(...)

D'Andrea: Introducetelo.
Marranca (tenendo aperto quanto più può la comune per tenersi discosto): Avanti, avanti... introducetevi...
E come Chiàrchiaro entra, va via di furia. Rosario Chiàrchiaro s'è combinata una faccia da jettatore che è una meraviglia a vedere. S'è lasciato crescere su le cave gote gialle una barbaccia ispida e cespugliuta; s'è insellato sul naso un paio di grossi occhiali cerchiati d'osso che gli dànno l'aspetto d'un barbagianni. Ha poi indossato un abito lustro, sorcigno, che gli sgonfia da tutte le parti, e tiene una canna d'India in mano col manico di corno. Entra a passo di marcia funebre, battendo a terra la canna a ogni passo, e si para davanti al giudice.

D'Andrea (con uno scatto violento d'irritazione, buttando via le carte del processo): Ma fatemi il piacere! Che storie son queste! Vergognatevi!
Chiàrchiaro (senza scomporsi minimamente allo scatto del giudice, digrigna i denti gialli e dice sottovoce): Lei dunque non ci crede?
D'Andrea: V'ho detto di farmi il piacere! Non facciamo scherzi, via, caro Chiàrchiaro! - Sedete, sedete qua! Gli s'accosta e fa per posargli una mano sulla spalla.
Chiàrchiaro (subito, tirandosi indietro e tremendo): Non mi s'accosti! Se ne guardi bene! Vuol perdere la vista degli occhi?
D'Andrea (lo guarda freddamente, poi dice): Seguitate... Quando sarete comodo... - Vi ho mandato a chiamare per il vostro bene. Là c'è una sedia: sedete.
Chiàrchiaro (prende la seggiola. Siede, guarda il giudice, poi si mette a far rotolare con le mani su le gambe la canna d'India come un matterello e tentenna a lungo il capo. Alla fine mastica): Per il mio bene... Per il mio bene, lei dice... Ha il coraggio di dire per il mio bene! E lei si figura di fare il mio bene, signor giudice, dicendo che non crede alla jettatura?
D'Andrea (sedendo anche lui): Volete che vi dica che ci credo? Vi dirò che ci credo! Va bene?
Chiàrchiaro (decisamente, col tono di chi non ammette scherzi): Nossignore! Lei ci ha da credere sul serio, sul se-ri-o! Non solo, ma deve dimostrarlo istruendo il processo.
D'Andrea. Ah, vedete: questo sarà un po' difficile.
Chiàrchiaro (alzandosi e facendo per avviarsi): E allora me ne vado.
D'Andrea: Eh, via! Sedete! V'ho detto di non fare storie!
Chiàrchiaro: Io, storie? Non mi cimenti; o ne farà una tale esperienza... - Si tocchi, si tocchi!
D'Andrea: Ma io non mi tocco niente.
Chiàrchiaro: Si tocchi, le dico! Sono terribile, sa?
D'Andrea (severo): Basta, Chiàrchiaro! Non mi seccate. Sedete e vediamo d'intenderci. Vi ho fatto chiamare per dimostrarvi che la via che avete preso non è propriamente quella che possa condurvi a buon porto.
Chiàrchiaro: Signor giudice, io sono con le spalle al muro dentro un vicolo cieco. Di che porto, di che via mi parla?
D'Andrea: Di questa per cui vi vedo incamminato e di quella là della querela che avete sporto. Già l'una e l'altra, scusate, sono tra loro così. Infronta gl'indici delle due mani per significare che le due vie sembrano in contrasto.

Chiàrchiaro: Nossignore. Pare a lei, signor giudice.
D'Andrea: Come no? Là nel processo, accusate come diffamatori due, perché vi credono jettatore; e ora qua vi presentate a me, parato così, in vesti di jettatore, e pretendete anzi ch'io creda alla vostra jettatura.
Chiàrchiaro: Sissignore. Perfettamente.
D'Andrea: E non pare anche a voi che ci sia contraddizione?
Chiàrchiaro: Mi pare, signor giudice, un'altra cosa. Che lei non capisce niente!
D'Andrea: Dite, dite, caro Chiàrchiaro! Forse è una sacrosanta verità, questa che mi dite. Ma abbiate la bontà di spiegarmi perché non capisco niente.
Chiàrchiaro: La servo subito. Non solo le farò vedere che lei non capisce niente; ma anche toccare con mano che lei è un mio nemico.
D'Andrea: Io?
Chiàrchiaro: Lei, lei, sissignore. Mi dica un po': sa o non sa che il figlio del sindaco ha chiesto il patrocinio dell'avvocato Lorecchio?
D'Andrea: Lo so.
Chiàrchiaro: E lo sa che io - io, Rosario Chiàrchiaro - io stesso sono andato dall'avvocato Lorecchio a dargli sottomano tutte le prove del fatto: cioè, che non solo io mi ero accorto da più di un anno che tutti, vedendomi passare, facevano le corna e altri scongiuri più o meno puliti; ma anche le prove, signor giudice, prove documentate, testimonianze irrepetibili, sa? ir-re-pe-ti-bi-li di tutti i fatti spaventosi, su cui è edificata incrollabilmente, in-crol-la-bilmente, la mia fama di jettatore?
D'Andrea: Voi? Come? Voi siete andato a dar le prove all'avvocato avversario?
Chiàrchiaro: A Lorecchio. Sissignore.
D'Andrea (più imbalordito che mai): Eh... Vi confesso che capisco anche meno di prima.
Chiàrchiaro: Meno? Lei non capisce niente!
D'Andrea: Scusate... Siete andato a portare codeste prove contro di voi stesso all'avvocato avversario; perché? Per rendere più sicura l'assoluzione di quei due? E perché allora vi siete querelato?
Chiàrchiaro: Ma in questa domanda appunto è la prova, signor giudice, che lei non capisce niente! Io mi sono querelato perché voglio il riconoscimento ufficiale della mia potenza. Non capisce ancora? Voglio che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza terribile, che è ormai l'unico mio capitale, signor giudice!
D'Andrea (facendo per abbracciarlo, commosso): Ah, povero Chiàrchiaro, povero Chiàrchiaro mio, ora capisco! Bel capitale, povero Chiàrchiaro! E che te ne fai?
Chiàrchiaro: Che me ne faccio? Come, che me ne faccio? Lei, caro signore, per esercitare codesta professione di giudice - anche così male come la esercita - mi dica un po', non ha dovuto prendere la laurea?
D'Andrea: Eh sì, la laurea...
Chiàrchiaro: E dunque! Voglio anch'io la mia patente. La patente di jettatore. Con tanto di bollo. Bollo legale. Jettatore patentato dal regio tribunale.
D'Andrea: E poi? Che te ne farai?
Chiàrchiaro: Che me ne farò? Ma dunque è proprio deficiente lei? Me lo metterò come titolo nei biglietti da visita! Ah, le par poco? La patente! Sarà la mia professione! Io sono stato assassinato, signor giudice! Sono un povero padre di famiglia. Lavoravo onestamente. Mi hanno cacciato via e buttato in mezzo a una strada, perché jettatore! In mezzo a una strada, con la moglie paralitica, da tre anni in un fondo di letto! e con due ragazze, che se lei le vede, signor giudice, le strappano il cuore dalla pena che le fanno: belline tutte e due; ma nessuno vorrà più saperne, perché figlie mie, capisce? E lo sa di che campiamo adesso tutt'e quattro? Del pane che si leva di bocca il mio figliuolo, che ha pure la sua famiglia, tre bambini! E le pare che possa fare ancora a lungo, povero figlio mio, questo sacrificio per me? Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione di jettatore!
D'Andrea: Ma che ci guadagnerete?
Chiàrchiaro: Che ci guadagnerò? Ora glielo spiego. Intanto, mi vede: mi sono combinato con questo vestito. Faccio spavento! Questa barba... questi occhiali... Appena lei mi fa ottenere la patente, entro in campo! Lei dice, come? Me lo domanda - ripeto - perché è mio nemico!
D'Andrea: Io? Ma vi pare?
Chiàrchiaro: Sissignore, lei! Perché s'ostina a non credere alla mia potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, ci credono! Questa è la mia fortuna! Ci sono tante case da giuoco nel nostro paese! Basterà che io mi presenti. Non ci sarà bisogno di dir niente. Il tenutario della casa, i giocatori, mi pagheranno sottomano, per non avermi accanto e per farmene andar via! Mi metterò a ronzare come un moscone attorno a tutte le fabbriche; andrò a impostarmi ora davanti a una bottega, ora davanti a un'altra. Là c'è un giojelliere? - Davanti alla vetrina di quel giojelliere: mi pianto lì,

eseguisce

mi metto a squadrare la gente così,

eseguisce

e chi vuole che entri più a comprare in quella bottega una gioja, o a guardare a quella vetrina? Verrà fuori il padrone, e mi metterà in mano tre, cinque lire per farmi scostare e impostare da sentinella davanti alla bottega del suo rivale. Capisce? Sarà una specie di tassa che io d'ora in poi mi metterò a esigere!
D'Andrea: La tassa dell'ignoranza!
Chiàrchiaro: Dell'ignoranza? Ma no, caro lei! La tassa della salute! Perché ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo, signor giudice, d'avere qua, in questi occhi, la potenza di far crollare dalle fondamenta un'intera città! - Si tocchi! Si tocchi, perdio! Non vede? Lei è rimasto come una statua di sale!

D'Andrea, compreso di profonda pietà, è rimasto veramente come un balordo a mirarlo.

Si alzi, via! E si metta a istruire questo processo che farà epoca, in modo che i due imputati siano assolti per inesistenza di reato; questo vorrà dire per me il riconoscimento ufficiale della mia professione di jettatore!
D'Andrea (alzandosi): La patente?
Chiàrchiaro (impostandosi grottescamente e battendo la canna): La patente, sissignore!
Non ha finito di dire così, che la vetrata della finestra si apre pian piano, come mossa dal vento, urta contro il quadricello e la gabbia, e li fa cadere con fracasso.
D'Andrea (con un grido, accorrendo): Ah, Dio! Il cardellino! Il cardellino! Ah, Dio! È morto... è morto... L'unico ricordo di mia madre... Morto... morto...

Alle grida, si spalanca la comune e accorrono i tre Giudici e Marranca, che subito si trattengono allibiti alla vista di Chiàrchiaro.

Tutti: Che è stato? Che è stato?
D'Andrea: Il vento... la vetrata... il cardellino...
Chiàrchiaro (con un grido di trionfo): Ma che vento! Che vetrata! Sono stato io! Non voleva crederci e gliene ho dato la prova! Io! Io! E come è morto quel cardellino,

subito, gli atti di terrore degli astanti, che si scostano da lui:

così, a uno a uno, morirete tutti!
Tutti (protestando, imprecando, supplicando in coro): Per l'anima vostra! Ti caschi la lingua! Dio, ajutaci! Sono un padre di famiglia!
Chiàrchiaro (imperioso, protendendo una mano): E allora qua, subito - pagate la tassa! - Tutti!
I tre giudici (facendo atto di cavar danari dalla tasca): Sì, subito! Ecco qua! Purché ve n'andiate! Per carità di Dio!
Chiàrchiaro (esultante, rivolgendosi al giudice D'Andrea, sempre con la mano protesa): Ha visto? E non ho ancora la patente! Istruisca il processo! Sono ricco! Sono ricco!

TELA

(prof. Pisani)


esercizi - pag.2

Esercizio n. 2 (Confronto)

Cosa pensi della superstizione? Credi all'oroscopo o ai talismani miracolosi?
Nella tua cultura di origine, se diversa da quella occidentale, si crede nella magia?
Pensi anche tu, come Pirandello, che l'ignoranza e la cattiveria siano le cause principali dei pregiudizi e delle superstizioni?
Discutine confrontandoti con i tuoi compagni.

(prof. Pisani)


esercizi - pag.4

Esercizio n. 3 (Drammatizzazione)

Nella lettura di un dialogo all'interno di un testo narrativo o di un testo adattato per il teatro vi sono indicazioni sul tono con cui le parole di un personaggio vengono espresse (es.: - disse con tono dimesso, deciso, convincente, perplesso ... -)
Immagina di dover drammatizzare il dialogo seguente interpretando le parole e i pensieri dei personaggi, gridandole o sussurrandole, esprimendo i diversi stati d'animo come fa l'abile comico Totò.

Utilizza anche la grafica, un po' come si fa nei diari e nelle chat: ingrandendo o alterando corpi e caratteri delle lettere.

Dialoghi nel testo
Drammatizzazione
– Lei dunque non ci crede?
– Volete che vi dica che ci credo? E vi dirò che ci credo! Va bene così?
– Nossignore, – negò recisamente il Chiàrchiaro, col tono di chi non ammette scherzi. – Lei deve crederci sul serio, e deve anche dimostrarlo istruendo il processo!
– Questo sarà un po' difficile, – sorrise mestamente il D'Andrea.
– Ma vediamo di intenderci, caro Chiàrchiaro. Voglio dimostrarvi che la via che avete preso non è propriamente quella che possa condurvi a buon porto.
– Via? porto? Che porto e che via? – domandò, aggrondato, il Chiàrchiaro.
– Né questa d'adesso, – rispose il D'Andrea, – né quella là del processo. Già l'una e l'altra, scusate, son tra loro così.
- Lei dunque NON CI CREDE?
– Volete che vi dica che ci credo? E VI DIRO'CHE CI CREDO! Va bene così?
– NOSSIGNORE, – negò decisamente il Chiàrchiaro, col tono di chi non ammette scherzi. – Lei DEVE CREDERCI SUL SERIO, e deve anche dimostrarlo ISTRUENDO IL PROCESSO!
– Questo sarà un po' difficile, – sorrise mestamente il D'Andrea.
– MA VEDIAMO DI INTENDERCI, caro Chiàrchiaro. Voglio dimostrarvi che la via che avete preso non è propriamente quella che possa condurvi a buon porto.
Via? porto? Che porto e che via? – domandò, aggrondato, il Chiàrchiaro.
– Né questa d'adesso, – rispose il D'Andrea, – né quella là del processo. Già l'una e l'altra, scusate, son tra loro così.


Adesso continua tu: in base all'intonazione che daresti se dovessi recitarle utilizzando anche la grafica corrispondente.

Il giudice D'Andrea si curvò, si prese la testa tra le mani, commosso, e ripeté: – Povero caro Chiàrchiaro mio, povero caro Chiàrchiaro mio, bel capitale! E che te ne fai? che te ne fai?
– Che me ne faccio? – rimbeccò pronto il Chiàrchiaro. – Lei, padrone mio, per esercitare codesta professione di giudice, anche così male come la esercita, mi dica un po', non ha dovuto prender la laurea?
– La laurea, sì.
– Ebbene, voglio anch'io la mia patente, signor giudice! La patente di jettatore. Col bollo. Con tanto di bollo legale! Jettatore patentato dal regio tribunale.
                                                                                                                                                                                                                                         

                           

(prof. Pisani)


esercizi - pag.5


Esercizio n. 4

Completa la tabella soffermandoti sulle caratteristiche del personaggio Chiàrchiaro distinguendo tra il suo aspetto reale (realtà) e la finzione (come la gente pensa che sia).

 VERITA'
 MASCHERA (FINZIONE)
  1.  Chiàrchiaro è una vittima: ha perso il lavoro, deve mantenere la moglie malata...
  2.                                                 
  3.                                            
  1. Chiàrchiaro è un potente iettatore: indossa un paio di occhiali che lo rendono simile ad un barbagianni...
  2.                     
  3.                       
  4.                      

(prof. Pisani)

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